OPERA SENZA AUTORE da Florian Henckel von Donnersmarck, il regista più alto della storia del cinema.

https://www.youtube.com/watch?v=LGpwWfDN4sA

Film vituperato dalla maggior parte dei critici: ma attenzione, non facciamoci fuorviare dal fatto che il film agiti materiali bassi, da sceneggiato televisivo hanno detto in molti!!, che sia squilibrato, ondivago, pura paccottiglia da rigattiere (dove però si possono nascondere delle perle, ecc.) e che non sia al livello di LE VITE DEGLI ALTRI, il suo esordio. Si tratta, invece, a mio parere, di una magnifica ricognizione su alcuni decenni cruciali della storia tedesca, del Novecento. Dal nazismo del famigerato Aktion T4 (per eliminare i portatori di handicap soprattutto mentali e coloro affetti da malattie genetiche) si giunge fino al muro di Berlino e l’instaurazione delle due Germanie ma PASSANDO ATTRAVERSO L’ARTE PITTORICA, protagonista un artista tedesco (la vicenda è ispirata al pittore Gerhard Richter, realmente esistito) segnato, durante l’infanzia, dal regime nazista e che, crescendo, si imbatte per un caso pazzesco (da feuilleton, forse, ma non è per un caso quasi incredibile che sono avvenuti certi terribili crimini nella storia?) nel medico che aveva fatto eliminare la zia con l’eutanasia e da allora tutto si svolge su un sottile, sordo filo di suspense, in una dimensione sospesa che però mancherà di catarsi poiché la risoluzione si attuerà nell’inconscio, un inconscio veicolato dall’arte. Von Donnersmarck ha concepito un’opera potente (oltre tre ore di durata), una sorta di BERLIN ALEXANDERPLATZ in sedicesimo per un doveroso flusso della memoria, ma equiparato, che fa a pezzi entrambe le visioni “distorte” dell’arte sia da parte dei nazisti, sia, udite, udite, degli stalinisti (nazismo apportatore di arte sterile contro arte “degenerata”, contrapposto al comunismo come propugnatore di arte legnosa e ininfluente, piccina picciò): e che la Stasi (Ministero per la sicurezza dello Stato), che si instaurò nella Germania dell’Est (di cui questo film rappresenta una sorta di velato complemento) non sia terribile come il nazismo ma sia segno di una volontà di controllo non meno spietata, è evidente. Questo vero secondo film del regista (THE TOURIST era una vacanza per le calli di Venezia prima del ritorno a temi seri) è a tutti gli effetti la seconda parte di un dittico sui totalitarismi in cui traspare che una sola cosa ci può salvare veramente, ossia la propensione dell’uomo all’arte (non importa se sublime, geniale o media se non mediocre), ma arte come pista che porta a verità e intuizioni inusitate che nessuna scienza è in grado di cogliere. La zia del protagonista, destinata a essere liquidata con l’eutanasia, all’inizio del film, aveva scoperto in una nota sul pianoforte la teoria del tutto: “il tutto è in questa sola nota”. Una nota che ci pone in armonia con l’universo, una cosa che nessun regime riesce nemmeno a concepire. Il guaio è che oggi, nella continua ricerca del dettaglio, magari ci sfugge il tutto: la teoria del tutto è già qui, ma non ce n’eravamo accorti: anche questo sembra voler dire l’omone regista, autore anche della sceneggiatura. Troppa carne al fuoco? Quando arde una fiamma cinematografica del genere, la carne non è mai troppa (o si vuole il focherello insulso di un accendino?). L’annullamento dell’artista (chi vedrà il film capirà come!) è un gesto di umiltà indispensabile, forse l’unico possibile, per capire non solo la Storia, ma anche la Verità.